
In un’Italia attraversata da disuguaglianze territoriali e da uno sviluppo economico spesso concentrato nelle grandi città, c’è chi ha scelto di non restare fermo ad aspettare.
C’è chi ha deciso di investire nei talenti delle aree interne, di credere nella forza delle idee e nell’energia imprenditoriale dei giovani.
È questa la visione di SEI Ventures, una realtà che sta contribuendo in modo concreto a promuovere l’innovazione al Sud. Un’iniziativa che nasce dalla volontà di creare nuove opportunità nei territori meno centrali, trasformandoli in luoghi fertili per imprese, startup e comunità.
Ho intervistato il team per scoprire come stanno accendendo l’innovazione al Sud, quali sfide affrontano ogni giorno e perché il prossimo grande progetto potrebbe nascere… lontano dai riflettori.
Come nasce SEI Ventures e qual è la missione che vi guida ogni giorno?
SEI Ventures nasce dall’idea che l’innovazione non debba essere un’esclusiva delle grandi città. Ci siamo chiesti: perché non portare energie nuove, imprenditorialità e tecnologia anche nei territori meno centrali, quelli che vengono spesso chiamati “aree interne”?
Abbiamo iniziato a lavorare partendo proprio da lì, credendo fortemente che queste zone abbiano un potenziale enorme, spesso inespresso, e che possano diventare luoghi fertili per la nascita di nuove imprese e progetti ad alto impatto.
La nostra missione è proprio questa: creare un ecosistema vivo e dinamico in cui giovani, startup, imprese e comunità possano crescere insieme, generando valore sostenibile nel tempo.
Quali sono i criteri principali con cui selezionate le startup da supportare?
Siamo molto attenti al valore reale delle idee che ci vengono proposte. Cerchiamo progetti innovativi, certo, ma anche concreti e capaci di generare un impatto positivo, soprattutto sul territorio. Guardiamo al team, alle competenze, alla motivazione, ma anche alla visione a lungo termine.
Ci interessano startup che abbiano voglia di sporcarsi le mani, che siano aperte al confronto e che non vedano la crescita solo come un obiettivo economico, ma anche come una responsabilità sociale.
In che modo accompagnate le startup nel loro percorso di crescita?
Il nostro approccio è molto pratico e personalizzato. Accompagniamo le startup passo dopo passo, mettendo a disposizione non solo spazi e strumenti, ma anche relazioni, competenze e connessioni con l’ecosistema più ampio.

Offriamo supporto nella definizione del modello di business, nella strategia di crescita, nella comunicazione, nella raccolta fondi. E poi c’è l’aspetto umano: spesso facciamo da spalla, da specchio, da stimolo. Cerchiamo di essere presenti nei momenti chiave, ma anche nei momenti difficili, che fanno parte del percorso di ogni impresa.
Ci sono storie o casi di successo che vi rendono particolarmente orgogliosi?
Ce ne sono diversi, e ciascuno ha una sua unicità. Ci emoziona vedere una startup che parte da un piccolo paese e riesce a farsi notare a livello nazionale.
O una PMI che, grazie a un percorso fatto insieme, riesce a trasformarsi e a crescere anche nei mercati digitali. Ma quello che ci rende davvero orgogliosi è vedere che, attraverso il nostro lavoro, non solo nascono nuove imprese, ma cambia anche la percezione del territorio: da luogo da cui scappare, a luogo da cui può partire qualcosa di grande.
Sicuramente uno dei casi più interessanti è Place2be (www.place2be.it), startup che ha democratizzato la figura dell’agente di viaggio, grazie a loro chiunque può prenotare e guadagnare dall’organizzazione di un viaggio.

Quali sono, secondo voi, le principali sfide che oggi affrontano le startup italiane?
Le difficoltà non mancano, soprattutto all’inizio. Ottenere finanziamenti è spesso complicato, e la burocrazia può rallentare molto il percorso.
A volte manca un ecosistema locale forte, capace di supportare concretamente chi vuole fare impresa. E poi c’è una certa resistenza culturale all’errore: in Italia il fallimento è ancora vissuto come un tabù, mentre dovrebbe essere considerato parte naturale del processo di innovazione. Chi fa startup ha bisogno di sperimentare, sbagliare, ripartire.
In Italia il fallimento è ancora vissuto come un tabù
Come vedete evolvere nei prossimi anni il ruolo degli incubatori e dei venture builder in Italia?
Crediamo che il ruolo di incubatori e venture builder diventerà sempre più importante, ma anche più ibrido. Non basterà più offrire uno spazio fisico e qualche servizio, bisognerà diventare veri abilitatori di ecosistemi, capaci di connettere territori, competenze, capitali e visioni.
Sempre di più vedremo strutture che lavorano in sinergia con il pubblico, con le università, con le imprese, per accompagnare non solo le startup, ma l’intero sistema produttivo in una trasformazione profonda. E, speriamo, più inclusiva.
Qual è un consiglio che dareste a chi oggi vuole lanciare una startup in Italia?
Di partire dai problemi reali. Di osservare bene il mondo attorno, le persone, i bisogni. E poi di non avere paura di partire in piccolo, di testare, di cambiare strada se serve.
È fondamentale avere un team solido, non solo nelle competenze ma anche nella capacità di stare insieme nei momenti difficili. E soprattutto: cercate supporto, parlate con altri founder, entrate in community, confrontatevi. Nessuno costruisce nulla di grande da solo.
Conclusione
L’esperienza di SEI Ventures dimostra che l’innovazione non ha confini geografici, ma bisogno di visione, coraggio e persone pronte a investire dove altri vedono solo ostacoli.
In un’Italia che spesso dimentica i suoi margini, realtà come questa accendono fuochi di futuro proprio là dove sembrava spento.
Il Sud non è solo un luogo da cui si parte.
Grazie a iniziative come SEI Ventures, può diventare il punto da cui tutto riparte.
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